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sabato 15 marzo 2014

"Sogno o son desto (in tempi di crisi)?": voglio raccontare la speranza

Con questo mio racconto, che ieri in Campidoglio a Roma ha ottenuto un importante riconoscimento in occasione del Premio Nazionale "Alberoandronico", desidero inviare un educato ma forte grido di speranza. Perché sia la volta buona che il sogno del protagonista trovi un posto concreto nella realtà.



SOGNO O SON DESTO (IN TEMPI DI CRISI)?


È già ora di alzarsi, sono le sette. Il pendolo del salottino scandisce il tempo puntuale come se fosse svizzero, mentre questa odiosa marimba della sveglia del telefono ha il suono più metallico di quello che si sente in un’acciaieria. Devo assolutamente cambiare suoneria, ma ci penserò dopo.
Io e i miei soliti, quotidiani problemi di rigidità articolare... Ma ho trent’anni! Possibile che alla mia età sia già così pieno di dolori alla schiena e alle spalle? Sono costretto ad inaugurare come uno straccio questo faticosissimo lunedì mattina!
Più mi guardo allo specchio, più non mi riconosco: sono troppo stanco! E meno male che ho fatto la doccia ieri sera, perché adesso non ho proprio le forze.
L’unica consolazione che mi rimane è il cibo: come diceva quel professore di patologia generale sul cibo? Ah sì, che le endorfine danno piacere! E meno male, perché ho fame e non sto in piedi. Zuccheri, zuccheri, mi servono zuccheri: la «botta» di cortisolo è ancora lontana.
Non capisco come faccio ad essere così disordinato: non è normale che uno di trent’anni debba prepararsi la colazione trovandosi tra i fornelli un trial clinico e un lavoro scientifico sulle endocarditi infettive. Qualcuno mi potrebbe dire: «Hai scelto tu di fare il ricercatore a Malattie infettive e di vivere da solo in affitto!» Lo so, ma mi manca mamma, devo richiamarla più tardi e pregarla di passare un giorno a pulire un po’.
Rimane il fatto che la mattina un buon cappuccino ti rimette al mondo. Vediamo un po’ fuori che tempo fa!
Affacciarmi alla finestra e sorseggiare il cappuccino è una delle cose più belle, mentre il cielo, tra l’azzurro e il grigio, ti invita ad essere sereno, a ricominciare da capo un giorno, che può portarti un sacco di sorprese. E in effetti mi sorprendo.
Come è possibile? La piazza sotto casa è già piena di gente e sembra che tutto intorno a me abbia un colore più acceso, un profumo più intenso... Questo giorno già mi fa sentire felice!
È meglio sbrigarsi. «Non fare troppo il sognatore!» sembra dica la mia coscienza. «E vedi di non fare tardi all’Università!» sembra aggiungere. Sì, sì corro!
Apro la porta, esco di casa, accendo il telefono, scendo le scale, apro il portone e... la città mi riempie di luce!
«Che bello e che strano!» esclamo ad alta voce.
«Ha visto dottore?» mi dice quella pettegola della portiera, premio Nobel per il Gossip. «Questa notte sono cambiate molte cose! Lei è sempre precario, è ancora borsista o ha preso quel posto da strutturato?»
«Arrivederci, Aurora! Sono cambiate molte cose questa notte, ma la sua curiosità è sempre la stessa!». Che maleducato! Eh, ma quando ci vuole... Comunque è rimasta male, poverina!
In effetti, mi sembra tutto così diverso... Questa piazzetta alle sette e venti di mattina non è mai così piena di gente! Poi tutti con il sorriso stampato sulle labbra? E che sarà successo?
Bene, la città diventa felice. Meno male!
Ah, un messaggio sul cellulare. Eccolo, è il prof! Vediamo un po’:
«Buongiorno Alessandro, purtroppo stamattina ho avuto un piccolo contrattempo e non riuscirò ad arrivare in orario in Istituto. Posso chiederti di fare la lezione al posto mio, alle 9.30? Grazie. P.S. Usa le mie slide sulla Borreliosi di Lyme. Paolo.»
Non posso crederci! Io oggi inizio la giornata di lavoro facendo una lezione ai ragazzi del Quarto Anno! «Ma che è successo? Oggi è la giornata della Fortuna?» esclamo a gran voce dalla contentezza.
«Veramente siamo tutti felici perché finalmente da oggi il nostro è un Paese onesto!» mi dice una signora elegantissima.
«Prego?» replico io, senza aver ben capito.
«Ma non vede che oggi funziona tutto alla perfezione?» mi risponde mentre accenna un sorriso e si allontana.
In effetti la signora deve aver ragione, sono tutti felici. Io a trent’anni ho il piacere di fare quello che ho sempre sognato, una lezione agli Studenti di Medicina, e mi pare che anche gli altri stiano vivendo il loro momento di gloria.
Negozi pieni di gente e non sono ancora le otto! Persino la libreria è già aperta e non mi pare vero ma è piena di gente alle casse! «Ma allora non stiamo in crisi!» esclamo ancora ad alta voce.
«Eh no!» mi risponde un signore grassottello e dalla faccia simpatica.
Sarà meglio andare a prendere l’autobus. Altrimenti arriverò in ritardo! Ma anche qui che succede? La fermata è vuota! «Signora scusi, ma c’è sciopero? Non mi dica che pure oggi fanno sciopero?!» domando ad un’anziana sorridente, intenta a leggere un giornale, seduta sulla panchina della fermata dell’autobus, a margine della piazza.
«Giovanotto! Ma le va di scherzare?» mi risponde divertita mentre il Quarantasette arriva puntualissimo, semivuoto e con una scritta luminosissima al LED.
«Buongiorno!» dico all’autista che mi fa entrare.
«Salve!» mi risponde lui con un’aria di serenità. «Lei ha l’abbonamento, vero?»
«Sì, sì! Io sono onesto, mica come il cinquanta percento dei passeggeri, che salgono senza avere il biglietto...»
Intorno a me il gelo.
Tutti interrompono le loro conversazioni e mi fissano attoniti e muti. «La prego, sia più educato e non dica certe scemenze!» ammonisce al mio indirizzo il controllore della vettura, il quale nel frattempo mi raggiunge dal fondo del mezzo per invitarmi a stare più tranquillo.
«Scendo alla prossima, grazie!» riesco a dire tra l’imbarazzo all’autista, che accosta con ogni premura, frena delicatamente, apre gli sportelli e mi saluta augurandomi sincero ogni bene.
«Arrivederci, grazie!» rispondo io un po’ dispiaciuto.
Non riesco a capire proprio cosa stia succedendo: i negozi sono aperti e affollati, come se non fossimo in crisi, la gente è felice quando fino a ieri sera aveva il volto segnato dal malcontento e dalla frustrazione. «Nooo! Persino il giornale gratis oggi!» dico a gran voce mentre, intento a raggiungere l’Università, attraverso il grande parco pubblico dove passo ogni mattina e dove adesso dei ragazzi con la pettorina gialla distribuiscono quotidiani normalmente a pagamento. Cosa mai vista prima!
«Ma è gratuito?» domando stupito mentre una ragazza riccia mi pone in mano una copia.
«Certo!» mi risponde allegra. «Hai bisogno anche di qualche altro giornale, magari per i tuoi colleghi, i tuoi amici?»
«No no, grazie mille! Uno può bastare!» replico io tra la meraviglia.
Io non so se sto impazzendo, se sto diventando dissociato, psicotico, se sto vivendo la realtà vera della vita! Ma come? Fino a ieri la crisi, il PIL che scende, lo spread che sale, la borsa che crolla, i suicidi che aumentano, i servizi che calano, le tasse alle stelle e stamattina? Tutti felici e contenti? Cioè, meglio così, per carità, ma non riesco proprio... «No, non ci credo!» Leggo sbalordito sulla prima pagina: «Giù tutte le imposte, più ossigeno alle imprese che riaprono. Grazie al Decreto approvato questa notte, più possibilità anche per i giovani ricercatori italiani, non più costretti ad emigrare all’estero!» c’è scritto. «Ma dove avranno trovato tutti i soldi che servono?»
Continuo ad essere perplesso.
«Dottore!» esclama il Preside di Facoltà, che si avvicina a me mentre passeggia sorridente. «Anche lei qui a passeggiare? Bravo, proprio bravo!»
«Signor Preside, buongiorno! Che onore poterla incontrare!» riesco ad esclamare, chiedendomi nel frattempo come abbia fatto a riconoscermi, quando, fino a questo momento, ogni volta che lo si incontrava camminava circondato da ventotto o ventinove persone.
«Scommetto che non sa dell’ultimo Decreto Rettorale, non è così?»
«Cosa devo sapere?» chiedo accigliato e frastornato.
«Non sa nulla del concorso in Facoltà per l’assegnazione di dieci posti di Professore Associato a disposizione di giovani ricercatori?»
«Con.. che?» balbetto io disorientato.
«Si documenti, caro, si documenti! E poi passi in Presidenza a depositare la richiesta di partecipazione! Lei è brillante, può farcela. L’aspetto!» afferma sorridente congedandosi da me con confidenza e con una lieve pacca sulla spalla, come per augurarmi di vincere il posto.
«Arrivederci, Preside!» riesco a dire stupefatto.
Già, sono proprio stupefatto, col «sensorio obnubilato» tanto per dirla come i miei amici clinici. Non capisco più niente. Non riconosco neanche questo parco: «Ma è possibile che sia così lucido quando almeno fino a sabato era pieno di cartacce e porcherie varie a terra?» sussurro sottovoce.
«E noi che ci stiamo a fare, scusi?» dice seccato ma divertito un operatore ecologico che mi passa a fianco, insieme alla sua squadra.
Noto che le panchine divelte, piene di ruggine e di scritte oscene sono state sostituite da sedili più comodi e nuovi di zecca. Le fontane, prima piene di acqua stagna e melma, sono tornate a zampillare pulitissime. Poi tutti questi col cane raccolgono i bisogni con cestino, paletta... «Ma che succede oggi? Cose dell’altro mondo!»
Il clochard del parco, oggi vestito di tutto punto e visibilmente sistemato, mi si avvicina dicendomi: «Sa, oggi non le chiedo l’elemosina perché il Governo mi ha appena assegnato un alloggio, mi ha dato da vivere ed io, per parte mia, ho trovato un lavoro».
«Sono molto contento per lei!» gli rispondo. E aggiungo: «E di cosa si occuperà di bello d’ora in poi?»
«Di quello che so fare meglio: di poesia! Sono un poeta che ha passato le sue notti insonni ad ammirare, tra questi vecchi e sudici cartoni, il cielo, la luna e le stelle. Saprà di certo che la notte scorsa c’è stata la luna piena e verso le due o le tre o le quattro – non lo so di preciso perché non ho l’orologio! – ho iniziato a lavorare scrivendo questi versi che le dedico con tutto il cuore, caro giovanotto!» dichiara mentre tira fuori un pezzo di carta che inizia a leggere dopo essersi schiarito la voce, con la stessa serietà e concentrazione con cui ci si accinge a pronunciare il discorso di accettazione del Nobel a Stoccolma.
«Alla notte, si intitola. Stia a sentire:

Non c’è una stella,

eppure la luna, da sé, riesce a dare spettacolo. Questa notte il cielo è un’opera d’arte,
un capolavoro del Creato,
un mistero come sempre da sempre.
Le nubi modulano la luce,
il vento fresco spazza via gli umori,
ed io riesco a sognare
contemplando l’infinito davanti a me.
Ho in mente vite lontane,
nello spazio nel passato e nel futuro,
mentre nuvole passeggere scandiscono il presente disegnando, come onde fiammeggianti,
ciò che immagino guardandole.
Ma i suoni della città che si spegne
interrompono la mia dolce immaginazione:
spero solo di trovare, tornato presto al mio giaciglio, l’occasione di vivere un sogno più vero».

«Straordinario!» riesco a dire trattenendo a stento le lacrime ed applaudendo per la felicità.
Lui, a quel punto: «Grazie, grazie tante! Anch’io sono molto contento per lei! Finalmente oggi ha ottenuto quello che si merita!»
«Ma come fa a saperlo?» chiedo stupito.
«Quando le cose funzionano secondo logica, onestà e giustizia, ognuno deve aspettarsi compiti e ruoli in base alle proprie capacità e alle proprie attitudini. Io l’ho sempre vista andare e venire da quell’Università» afferma l’uomo indicando la fine del parco in cui sorge il Palazzo del mio Ateneo. «Ebbene, lei arriva qui alle otto di mattina e alle otto di sera esce da lì. Crede che tutto questo poi non debba essere ricompensato?» aggiunge sorridendo come per augurarmi buona fortuna.
Ancora scosso dalla commozione suscitata dall’incontro, m’incammino verso il grande edificio dell’Università, che si staglia imponente davanti a me una volta superata la recinzione del parco, che, finalmente, è pulito, curato e fiorito come non mai.
Davanti l’ingresso dell’Ateneo, che improvvisamente ha cambiato aspetto, trovo il solito usciere antipatico, il quale, stranamente, mi accoglie con un ampio sorriso, al contrario di prima, quando era solito praticare modi poco cortesi. Attraverso la nuova porta automatica a vetri e mi incammino verso l’Istituto di Malattie infettive, passando per il corridoio dove un tempo c’erano bacheche e fogliacci di ogni tipo, appesi qua e là, e dove ora trovo monitor informativi e totem touch- screen per la prenotazione degli esami e per il rilascio di certificati in tempo reale.
Arrivo sorridente alla tromba delle scale, intento a prendere l’ascensore che mi porta al Dipartimento. Raggiungo l’ingresso dell’Istituto, apro la porta ed è un trionfo di sorrisi e di «buongiorno!», tutti rivolti a me. Poi mi accorgo che alla fine del corridoio interno c’è una porta con una targa con il mio nome, il mio cognome e la dicitura «Ricercatore confermato». Entro, trovo una stanza in perfetto ordine, munita di scrivania, computer, poltroncine e condizionatore. «È il mio studio, il mio studio! Finalmente il mio studio!» grido tra le lacrime. Questa volta gli occhi sono gonfi di gioia, non di stanchezza. Dietro la scrivania, c’è una grande finestra. La apro. Mi affaccio e guardo la città che non è più la stessa: palazzi ben restaurati, cupole chiare, campanili alti e illuminati da un sole che coi suoi raggi brillanti permea ogni cosa e attraversa ogni finestra, annientando persino quella orrenda stria marrone di smog, che anche l’altro giorno sporcava l’orizzonte e non mi permetteva di inspirare a polmoni pieni l’aria pura, fresca e profumata che mi sta inebriando adesso. «Evviva l’onestà e la giustizia!» urlano i miei pensieri in un tripudio di piacere.

* * *

È già ora di alzarsi, sono le sette. Il pendolo del salottino scandisce il tempo puntuale come se fosse svizzero, mentre questa odiosa marimba della sveglia del telefono ha il suono più metallico di quello che si sente in un’acciaieria. Devo assolutamente cambiare suoneria, ma ci penserò dopo.
Io e i miei soliti, quotidiani problemi di rigidità articolare... Ma ho trent’anni! Possibile che alla mia età sia già così pieno di dolori alla schiena e alle spalle? Sono costretto ad inaugurare come uno straccio questo faticosissimo lunedì mattina!
Più mi guardo allo specchio, più non mi riconosco: sono troppo stanco! E meno male che ho fatto la doccia ieri sera, perché adesso non ho proprio le forze.
L’unica consolazione che mi rimane è il cibo: come diceva quel professore di patologia generale sul cibo? Ah sì, che le endorfine danno piacere! E meno male, perché ho fame e non sto in piedi. Zuccheri, zuccheri, mi servono zuccheri: la «botta» di cortisolo è ancora lontana.
Non capisco come faccio ad essere così disordinato: non è normale che uno di trent’anni debba prepararsi la colazione trovandosi tra i fornelli un trial clinico e un lavoro scientifico sulle endocarditi infettive. Qualcuno mi potrebbe dire: «Hai scelto tu di fare il ricercatore a Malattie infettive e di vivere da solo in affitto!» Lo so, ma mi manca mamma, devo richiamarla più tardi e pregarla di passare un giorno a pulire un po’.
Rimane il fatto che la mattina un buon cappuccino ti rimette al mondo. Vediamo un po’ fuori che tempo fa!
Affacciarmi alla finestra e sorseggiare il cappuccino è una delle cose più belle: mentre il cielo, tra l’azzurro e il grigio, ti invita ad essere sereno e a non abbandonare la speranza – per quel che è possibile in un periodo di crisi economica e soprattutto sociale – dico tra me e me: «Questa notte devo aver fatto un sogno, proprio un bel sogno... E ho tanta voglia di realizzarlo!».

Copyright MATTEO DI VINCENZO 2014

2 commenti:

sabina ha detto...

Ho letto la tua storia qualche settimana fa e mi ero riproposta di lasciare un commento,ma in questi tempi di crisi,sebbene sembri strano,è in crisi anche il tempo a disposizione(nonostante tutto!)concentrati come siamo ad utilizzarlo per commiserarci...Ma eccomi qua!Non potevo più lasciarlo scorrere oltremodo senza complimentarmi con te(al solito)per le tue doti di scrittore,che apprezzo da tempo e che non si smentiscono.Mi fa piacere che tu non abbia abbandonato la penna "per il camice" due strumenti con i quali scegli di "raccontare la speranza",porgendola con l'uno al corpo,con l'altra allo spirito.....Bravo.Sabina

Matteo Di Vincenzo ha detto...

Cara Sabina, grazie mille delle tue parole!!!